I gioielli di famiglia per sopravvivere in attesa di aiuti e sussidi che non arrivano mai in tempo: le file sono così lunghe che le filiali in tutta Italia hanno esteso l’orario di apertura
Se le code davanti al banco dei pegni sono da sempre il termometro per misurare le crisi, adesso siamo da ricovero: da quando il lockdown ci ha chiusi in casa, le richieste di credito sono aumentate del 30%. La misura del dramma silenzioso che sta attraversando migliaia di famiglie che non riescono più a sostenersi non è solo in quella percentuale fornita da Affide, il leader europeo nel credito su pegno: basta dare un’occhiata alle file mai così lunghe di chi sfida il contagio per impegnarsi un paio di orecchini, un anello di famiglia, il vecchio orologio d’oro del nonno. Per accoglierli e smaltire l’affluenza record di questi giorni agli sportelli, Affide ha dovuto estendere gli orari di apertura allungandoli ben oltre quelli previsti prima dell’emergenza.
Coronavirus, in fila al Banco dei pegni di Roma: “Ho portato un bracciale d’oro, spero che basti per due settimane”
In una di queste file una giornalista del Piccolo di Trieste, Laura Tonero, ha raccolto la disperazione di Luciana, una nonna pensionata con in pugno “due collanine con un ciondolo a forma di goccia, un paio di orecchini con delle perle e una spilla floreale”: è l’oro di famiglia con cui aiuterà suo figlio che non sa più come pagare il mantenimento della sua bambina e gli alimenti alla ex moglie. “È in cassa integrazione – le ha raccontato – ma i soldi non arrivano e deve ancora ricevere lo stipendio di febbraio che il suo titolare non è in grado di pagare. Ha fatto richiesta per i buoni spesa oltre un mese fa ma per ora non ha ricevuto nulla». La pensione le basta appena per pagare l’affitto, perché Luciana già ne usa una parte per aiutare l’altra figlia che “fa lavori saltuari”.
Non è un’Italia di fannulloni e perdigiorno, quella che non arriva alla fine del mese: sono famiglie di pensionati e lavoratori che la crisi ha azzannato al collo e l’emergenza virus ha messo definitivamente sul lastrico. Sono i vicini di casa, sono gli operai che incontravi sull’autobus prima che chiudesse la fabbrica per il “codice Ateco” non previsto dal decreto, è la gente qualunque che ha iniziato a frequentare le mense sociali perché non ha più abbastanza soldi per far la spesa.
Storie analoghe sono state pubblicate nei giorni scorsi nelle pagine locali di Repubblica: “Impegno un collanina altrimenti non si mangia. Il governo non dà una mano. Ma a chi interessa?”, ha detto Giuseppe, muratore 67enne fermato dal blocco dei cantieri, alla redazione di Napoli che lo ha intervistato tra la settantina di persone in attesa davanti al banco dei pegni di via San Giacomo. “Ci telefonano in tanti – hanno detto a Marco Lignana, prima che scattasse la fase-2, dalla sede genovese del Banco pegni Carige in vico al Monte di Pietà – soprattutto clienti mai visti. Vogliono sapere come funziona il prestito, di che cifre si parla, cosa si può dare in pegno”. A Palermo c’è Giorgio, ambulante di arance e spremute del Capo: “Ho bisogno di liquidità — ha raccontato a Tullio Filippone – da quando è stato chiuso tutto non ho più entrate”. E Giuseppe, 58 anni autista di bus per una compagnia privata di trasporto, era lì perché non poteva rinnovare la polizza sui gioielli della moglie: “Sono in cassa integrazione e non ho ancora percepito un euro”. Al Monte dei pegni di Intesa Sanpaolo in via Botero, a Torino, a Diego Longhin hanno spiegato che un terzo dei clienti “si presentano per portare in pegno qualche cosa spinti dall’emergenza Covid”. Gli altri vanno a rinnovare prestiti già ottenuti.
In Italia si rivolgono ogni anno al credito su stima 300mila persone per 800 milioni di affidamenti, stima Assopegno. Il prestito medio ottenuto è mille euro, e normalmente il 95% dei beni dati in pegno verrà poi riscattato, mentre il 5% sarà venduto all’asta. Funziona così: porti in garanzia un bene prezioso che verrà custodito per alcuni mesi e in cambio ottieni un prestito. Se vuoi rinnovarlo devi farlo prima che scada, altrimenti il bene verrà venduto all’asta. Purtroppo, ottenere piccole somme in questo modo è assai più semplice che riceverle per diritto: lo Stato annaspa nella burocrazia, mentre il sistema creditizio a pegno è rapido ma tutt’altro che indolore.
Così, più si fatica a ottenere davvero i finanziamenti, gli aiuti, i buoni spesa, la cassa integrazione e gli altri sussidi che teoricamente avrebbero già dovuto “abolire la povertà”, come fu incautamente annunciato al varo del reddito di cittadinanza, più si allungano le code al banco dei pegni. Le 43 filiali di Affide su tutto il territorio nazionale hanno deciso di aprire anche il pomeriggio, e lunghe file sono segnalate negli sportelli siciliani: “Afflusso notevolissimo”, dice il responsabile di zona, Massimo Fichera, “sicuramente si è percepita la diminuzione dei vincoli del lockdown ed è stato un momento di particolare affluenza”.
Code ben più lunghe del solito sono spuntate anche a Roma e dintorni. “Possiamo erogare prestiti solo a privati”, spiega Rainer Steger, condirettore generale di Affide, ma sempre più spesso adesso “si tratta di persone che hanno un negozio, un bar o un ristorante e si rivolgono a noi perché per qualche mese hanno difficoltà”.
Fonte: repubblica